Autore: Rabih Alameddine
Casa editrice: Bompiani
Genere: narrativa contemporanea
Numero pagine: 299
Trama
Con questo romanzo Rabih Alameddine ci trasporta in Libano, a Beirut, e, all’inizio, in un vecchio appartamento della città. È qui che incontriamo Aaliya, una donna di settantadue anni, i capelli tinti di blu, una traduzione da iniziare, forse, e una storia da raccontare. Aaliya ci parla della sua vita: anni e anni dedicati a leggere i capolavori della letteratura mondiale per poi tradurli, in silenzio, per puro amore, senza che alcuna traduzione veda mai la luce della pubblicazione; mentre per le vie della città cadevano bombe e si udivano gli echi di una guerra capace di trasformare giovani pacifici in spie e assassini. Una guerra che ha costretto una donna sola come lei, di professione libraia, appassionata di libri, a dormire con un fucile accanto al letto per difendersi da attacchi improvvisi. Una guerra che ha costretto Aaliya a rimandare l’appuntamento con l’amore. Siamo ciò che leggiamo, disse un saggio, e Aaliya è questo: una creatura meravigliosa, fatta di carta, eppure viva, piena di umorismo, che si nasconde da tutto e tutti dentro una vecchia giacca di lana e dietro la letteratura, cercando nei libri l’amore che la sua famiglia non è stata in grado di darle.
Aaliya è una donna di settantadue anni che, un po’ per hobby ed un po’ per riempire i vuoti nella sua vita, da cinquanta anni ogni anno traduce in arabo un nuovo libro, seguendo un criterio ben preciso.
Aaliya ci racconta la sua storia in prima persona partendo dal periodo in cui ha vissuto con la sua famiglia a quando appena adolescente è stata data in sposa ad un uomo molto più grande di lei, a quando è diventata libraia, a come ha vissuto a Beirut durante i continui conflitti tra israeliani e palestinesi ed infine a come è nata e si è sviluppata la sua grande amicizia con Hannah, la sua quasi cognata.
Questo libro mi fa provare emozioni contrastanti, perché se da un lato la storia di Aaliya mi è piaciuta, dall’altro ho trovato lo stile narrativo piuttosto pesante.
L’hobby di traduttrice di Aaliya in realtà è un argomento molto marginale, sono approfonditi di più i rapporti che la protagonista aveva con la madre, i fratellastri, le vicine di casa, gli uomini e la sua amica Hannah, l’unica che invitava a casa e con cui condivideva la sua passione per la lettura.
Ho trovato molto interessante la parte relativa a come lei da libanese ha vissuto la nascita e la prosecuzione del conflitto tra israeliani e palestinesi tra bombardamenti, deportazioni dei palestinesi e tregue, molto attuale soprattutto visto quanto sta accadendo in questi giorni, così come la descrizione della sua vita di donna fuori dagli schemi, che negli anni ’50 resta a vivere sola dopo essere stata lasciata dal marito, invece di tornare in famiglia, e decide di lavorare per mantenersi, di dormire con un Kalashnikov per proteggersi e di restare in un grande appartamento invece di cederlo ad uno dei fratellastri, nonostante le continue pressioni della famiglia.
Il romanzo è privo di capitoli e la narrazione non segue una linea temporale ben precisa, infatti mentre la protagonista racconta un episodio della sua vita, comincia a divagare spostandosi su altri ricordi avvenuti magari venti anni prima o dopo per poi immergersi nei suoi pensieri e tornare al punto iniziale, quando ormai il lettore ha perso completamente il filo del discorso.
Avete presente quando durante una conversazione si cambia argomento e dopo un po’ ci si chiede “Di cosa stavo parlando?”? Il libro è scritto interamente così, provocando una confusione tremenda.
Una frase ricorrente è “Caro lettore, permettimi di fare una digressione” e tu nella testa pensi “Nooooo!!!! Bastaaaa!!! Dai un senso a questa storia!”.
Ho sottolineato tantissime parti perché trovo i concetti espressi piuttosto profondi, ma confesso di essermi addormentata molte volte mentre lo leggevo e di aver faticato a finirlo.