Autore: Francesco Scarlata
Casa editrice: Self-publishing
Genere: Horror
Numero di pagine: 138
Trama
“Possessione demoniaca. Esorcismo. Parole che fanno paura, che aprono al mistero della fede autentica – se esiste Dio, esiste il Diavolo. Parole che gettano l’inconscio in pasto a mostri reali, a fantasmi interiori, a dubbi che alimentano incubi.
La malattia. La depravazione dell’essere umano. La sofferenza. La solitudine. Se Dio è vero, perché permette che ci siano? E se la verità fosse meno a senso unico di come appare?
Questa è la storia di Megan Montgomery, una ragazza liceale di diciassette anni, rimasta senza madre e con pochi amici, che viene posseduta dal demonio dopo aver “giocato” da sola con una tavola ouija.
È anche la storia di un segreto sepolto fra i banchi di scuola, di un male invisibile: il riflesso della follia che percorre le strade di ogni giorno.
Sarà necessario l’intervento di un esorcista, le cui esperienze passate gli hanno dimostrato che l’Oscurità altro non è se non il volto nascosto della Luce.”
Recesione
L’idea alla base non è solo quella di una ragazza, Megan Montgomery, posseduta dopo aver cercato di contattare lo spirito della madre, ma c’è molto altro: dove si cela il male? Quanto è presente nella vita? Ma soprattutto…perché Dio permette sempre che ci sia il male fortemente in contrapposizione col bene?
Sicuramente le riflessioni che questa lettura ci offre sono tante e profonde, gli interrogativi “tra le righe” al quale si vuole trovare, o per lo meno muovere, una risposta, molteplici, immensi e provocatori. Ci viene lanciato un messaggio chiaro dove il confine tra bene e male non è apparentemente ben delineato ma talmente sottile da trarci in inganno…apparentemente perché bisogna solo sapere (e/o volere!) guardare.
Una metafora sull’esistenza intera dell’essere umano (perversione, depravazione, male vero e visibile) attraverso un cliché dell’horror: una possessione, un esorcismo e il suo mandante, l’esorcista.
L’autore una penna fresca e diretta, non tenta di oscurare il linguaggio in un falso buonismo ma utilizza una scurrilità che attribuisce realtà al racconto. Una scrittura cinematografica che permette di visualizzare nitidamente le scene descritte (troppo evocative, forse già viste).